In casi particolarmente gravi può rendersi necessario un intervento chirurgico. A tal fine il medico e il paziente devono ovviamente essere d’accordo che questo sia il passo successivo da compiere.
L’intervento può consistere, ad esempio, nella separazione delle connessioni nervose, in seguito alla quale l’attività muscolare e quindi anche i disturbi vengono interrotti improvvisamente. Tuttavia, questi interventi devono essere oggetto di profonde riflessioni, in particolare nei bambini e negli adolescenti che si trovano ancora in fase di crescita. Anche in età adulta possono spesso insorgere complicanze o perfino un peggioramento dei sintomi, ad esempio a livello del tendine d’Achille. A causa dei rischi elevati e degli effetti collaterali, tali operazioni rimangono al momento limitate ai casi eccezionali.
La stimolazione cerebrale profonda è anche comunemente nota con il termine di “pacemaker cerebrale”. Con questa terapia, servendosi di un metodo neurochirurgico, nel cervello vengono impiantate alcune sonde che rilasciano scariche elettriche e permettono di inibire alcune attività cerebrali malate. Tuttavia, questa tecnica viene utilizzata solo in caso di gravissimi disturbi motori in cui altre terapie non hanno successo.